Attenzione: questo articolo contiene spoiler sul film Into the Wild

Hai letto il primo articolo? Ora eccoci alla seconda parte di “Into the Wild”, il film tratto dalla storia vera di Christopher McCandless, il ragazzo che si faceva chiamare Alexander Supertramp e che voleva vivere la natura selvaggia da solo in Alaska. Ma prima di raggiungere il Grande Nord vive mille esperienze vagabondando per gli Stati Uniti. Carpisce informazioni di sopravvivenza di qua e di là ma non approfondisce nel giusto modo questi argomenti che gli avrebbero potuto salvare la vita. Si affida a un libro di piante selvatiche, non ha idea di come si legga una mappa (si capisce bene quando discende il Colorado ed incontra i due danesi) e le nozioni di survival se le fa spiegare da un cacciatore di nome Kevin, la cui conoscenza era logicamente limitata solo a come si può scuoiare una preda.

L’abilità di vivere senza le tecnologia moderna non si acquisisce in un giorno.  Bisogna studiare sui libri o, meglio, imparare da chi ne ha fatto il proprio stile di vita e fa questo di professione, ma soprattutto ci vuole pratica!

Marco Priori scrive di Into the wildL’ambiente va conosciuto ed accettato per quello che è e non combattuto. Nel film si vede che Alexander Supertramp inizia a pianificare le priorità per la sua permanenza al bus 142, il Magic Bus, dopo sette settimane! Non avendo con se una mappa (per scelta e per arroganza) esplora in modo poco accurato la zona in cui si trova. Perché dico “in modo poco accurato”? Dal libro da cui è stato tratto il film, il giornalista Jon Krakauer riporta che a due miglia di distanza dal pulmino c’era una teleferica che permetteva di attraversare un fiume. Quale fiume? Quello che Alexander aveva guadato qualche mese prima e che, al disgelo, troverà in piena intrappolandolo nelle terre estreme e facendolo cadere nel panico. Se solo avesse avuto con se una mappa…

Ma prima succede una delle cose più tristi a parte l’epilogo del film stesso. La famosa scena della caccia all’alce. La mancanza di esperienza e apparentemente tanta fortuna fanno abbattere ad Alexander un bellissimo ed enorme esemplare di alce. Ora, come insegno ai miei allievi, la preda va scelta in base alle proprie necessità. Un animale che può pesare 400-500 chili non rientra nelle nostre scelte possibili! Anche un branco di lupi lo eviterebbe. Tanto per farti un’idea, gli Americani in media consumano 120 chili di carne l’anno (noi Italiani “solo 78 chili”). A conti fatti l’alce gli sarebbe bastata minimo per due o tre anni. Si stanca come non mai a lavorare su quella povera bestia. Poi prova ad affumicarla, ma fallisce miseramente. Tutta l’alce va sprecata…o così lui pensa.

Marco Priori e la foto dell'alce di into the wildIn Natura nulla va sprecato e ne è la prova il banchetto dei lupi e delle aquile, oltre che delle larve di mosche. Una volta fatto il danno uccidendo l’alce avrebbe potuto recuperare almeno una parte della carne, quanto bastava per lui, essiccandola. C’erano la pelle da conciare per crearsi una protezione termica, le ossa da bollire per nutrirsi col midollo, alcuni organi interni da usare come contenitori e molto altro…alla fine la sua totale impreparazione lo porta a fare una riflessione: “Si avvertiva chiaramente la presenza di una forza ostile all’uomo, era un luogo di superstizioni e riti pagani fatto per essere abitato da uomini più vicini alle pietre e agli animali selvaggi che a noi”.

Quante volte hai sentito parlare di “lotta per la sopravvivenza”, magari proprio da chi dovrebbe insegnarti le tecniche? Un mio maestro una volta mi disse che se mai avessi sentito qualcuno parlare di “Natura ostile” o “lotta per sopravvivere” voleva semplicemente dire che quella persona non era sufficientemente preparata. Il Natural Survival ti insegna che la Natura è pronta ad accoglierti ma tu devi imparare a trovare il tuo equilibrio nei suoi confronti.

Christopher McCandless arriva i primi di maggio al bus 142 camminando su un soffice manto di neve. E dopo nove settimane decide che la sua prova è terminata con successo. Vuole tornare dalla ragazza che aveva lasciato per condividere le sue esperienze con lei. Ma a fine giugno a quelle latitudini il disgelo è terminato ed i fiumi sono al massimo della loro portata. Il piccolo fiume che aveva attraversato McCandless qualche tempo prima, ora è una barriera impossibile da guadare. Panico. Si sente in trappola. Svanisce in lui la certezza di farcela. Lo attanaglia il baco del dubbio. E questo lo spinge ad affrontare le situazioni senza rifletterci. Fino a quel momento era stato bravo a cavarsela. Gli sarebbe bastato partire da quel principio. Nulla era cambiato intorno al bus 142. Solo la certezza di non poter tornare indietro quando voleva. In una situazione di pericolo, dopo un incidente o un imprevisto, la prima cosa è fermarsi, sedersi e ragionare. Controllare e calmare la propria paura per sfuggire alla trappola del panico. Statisticamente una persona persa in Natura può morire nell’arco di tre giorni se presa dal panico!

piante selvatiche in Into the WildDal film confonde una pianta commestibile con una velenosa che lo porta alla morte di stenti. Pare che, secondo le ricerche del giornalista Jon Krakauer, Christopher McCandless abbia consumato le bacche di una pianta di cui si era nutrito in abbondanza delle radici, dando per scontato che anche le bacche fossero commestibili. E’ una plausibile possibilità, anche se non avrebbe avuto lo stesso effetto scenico nel film. Quando spiego le piante selvatiche mi raccomando sempre di usare solo le parti che si conoscono per evitare errori potenzialmente gravi. Personalmente, studiando anche alcuni documenti mentre ero nel Klondike, mi sono creato un’idea del tutto personale sulle cause della morte di McCandless, confrontandola con quella di persone colpite da sindromi analoghe durante la Corsa all’Oro. Mi riprometto di scriverci un nuovo articolo…

In conclusione, Alexander Supertramp è riuscito a cavarsela egregiamente per gran parte della sua permanenza al Magic Bus che nel complesso è stata circa 102 o 103 giorni. Alcuni errori gli sono stati fatali, ma primo fra tutti quello di non studiare ciò che sarebbe stato il luogo della sua permanenza. Se almeno avesse letto una mappa prima di partire o la avesse avuta con se, si sarebbe accorto dell’esistenza della teleferica. Sarebbe potuto tornare da quella ragazza ed avrebbe potuto finalmente condividere la Felicità.

Citazione dal film: “La felicità è reale solo quando è condivisa”, Christopher McCandless

Marco Priori